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Guido
Lucchini:
Barafonda "storie
di gente alla buona" e versi in dialetto romagnolo
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...un rettangolo di terra, oggi
fortemente urbanizzato, tra il deviatore del Marecchia e il portocanale a
Nord di Rimini, con un tratto profondo di spiagge protetto da scogliere di
recente collocazione. Fino agli anni 30 raccoglieva una comunità solidale
di ortolani e di pescatori. Oggi gli orti non ci sono più.[...]
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Pagine tratte da: Guido
Lucchini, Barafonda, Pietroneno Capitani editore, Rimini, 1996.
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Barafonda
Risalire alle origini
che hanno dato il nome alla zona subito a ponente del molo di Rimini (che
ebbe in seguito il nome Barafonda) è difficile. Anticamente, questa parte
di litorale era devastato dalle frequenti alluvioni provocate dalle piene
del fiume Marecchia. Di conseguenza, i terreni in questione, erano
paludosi ed inabitabili. Si dice che il nome Barafonda sia legato alla
bara del Santo Giuliano ritrovata sulla battigia del mare (forse fra
Rivabella e Viserba). Bara, si dice, che non si potè rimuovere nemmeno
con l'aiuto di diverse paia di buoi.
Solo con un paio di
vitelli giovani fu possibile trascinarla verso l'interno; ad un certo
punto i vitelli si fermarono, e da lì la bara non si mosse più. In quel
sito sgorgò una fonte d'acqua finissima, la Sacramora (Sacra
dimora)...[...]
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I sgnùr
I' arveva vers mizdè,
s'la su Balilla, dòni sa di vistid longh, tòtt fiurèd e di gran capèll
ad paia. I burdèll biench, palid, calzun sòra al znocì, scherpi ad pèla
locida e calzètt zàl. E è su ba che gèva, intent che trèva zò al
valisi, "andegna, andegna, ch'andegn al mèr".
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I signori
Arrivano verso
mezzogiorno, con la Balilla, donne con dei vestiti lunghi, tutti fiori, e
dei gran cappelli di paglia. I bambini bianchi, pallidi, calzoni sopra le
ginocchia, scarpe di pelle lucida e calze gialle. E il loro babbo che
diceva, mentre tirava giù le valigie "andiamo, andiamo, che andiamo
al mare".
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E'mi bà Tugnin
Quand ch'a séra znin e' mi bà u
m purtèva se canòn dla biciclèta, a m'arcord che una volta per
guardè drè m'al dòni a sémm andè te fòs. Adès ch'a so bèla
véc a port i mi anvudin se canòn dla biciclèta e a guerd drè
m'al dòni, alora a peins...Per furtuna che i fòss in gnè piò.
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Mio padre Antonio
Quando ero piccolo mio padre mi portava sulla canna della bicicletta, mi ricordo
che una volta, per guardare dietro alle donne, siamo andati nel fosso. Adesso che
sono ormai vecchio, porto i miei nipotini, sulla canna della bicicletta, e
guardo dietro alle donne, allora penso...Per fortuna che i fossi non ci sono più.
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